Incontro dibattito pubblico
Diritti e doveri dei condomini, diritti e doveri dell’amministratore,
Trento, 10 febbraio 2006
RIFLESSIONI SUL RAPPORTO TRA CONDOMINI E AMMINISTRATORI
Forse la comprensione dei diritti e dei doveri non è così precisa come la legge ci indica: nel valutarli, ognuna delle parti accampa diritti ma glissa un po’ sui propri doveri.
E allora sono convinto che solo il dialogo riesca a ristabilire l’equilibrio, attraverso la relazione tra le parti.
Quindi proverò a riflettere sul tema della relazione, nell’intento di esaltare l’importanza di questo rapporto che implica, soprattutto rispetto reciproco delle singole specificità, quella del condomino-cliente e dell’amministratore.
Avrete chiaro come uno dei punti più controversi sia la definizione di condominio.
Mi capita spesso di citare un verso del Paradiso di Dante, per la precisione il 151 del XXII Canto, perché è forse la più suggestiva metafora del condominio, del quale il Sommo Poeta non ebbe mai coscienza…«l’aiuola che ci fa tanto feroci…».
Vediamo l’attualità di questo verso.
Il nostro paese detiene il record mondiale della proprietà in condominio (secondo i dati ISTAT, il 71,4% della famiglie italiane, cioè più di 20 milioni, è proprietaria di casa) e siccome l’evoluzione e la crescita di una società si definisce anche attraverso l’attualità e la modernità delle sue leggi, non meravigli il poco invidiabile primato della litigiosità in condominio (quasi un milione di cause coinvolgono i condomini ogni anno, il 53% di tutti i procedimenti giudiziari riguardano liti tra i vicini).
Quindi, la costante nelle relazioni tra gli abitanti delle case è il conflitto, un presupposto che rende difficile e complicata la gestione del condominio, dove anche le decisioni più semplici trasformano spesso le assemblee in un’arena, una plaza de toros dove non si distingue più il toro dal matador.
Questa è «l’aiuola che ci fa tanto feroci…».
L’incontro di oggi è un’occasione di dialogo fra due parti, amministratori e condomini che paradossalmente non dovrebbero essere controparti bensì dalla stessa parte. Al di là del gioco di parole, è importante non perdere di vista la natura del rapporto tra condomini e amministratore, che appartengono allo stesso ecosistema, cioè al condominio, e la cui contrapposizione è molto spesso pretestuosa piuttosto che di sostanza.
E allora, guardiamo più da vicino questo rapporto tra condomini e amministratori, e scopriremo che, nella realtà quotidiana, il conflitto è solo la punta di un iceberg dentro il quale, nella parte sommersa, si nascondono insoddisfazioni e disagi determinati da ben altre cause non riconducibili al condominio fine a sé stesso, bensì alla natura umana.
Mi spiego.
Prendiamo in esame le cause principali dei conflitti in condominio: le questioni finanziarie, i rumori, la vita di relazione e l’uso delle parti comuni.
E soffermiamoci solo su questi ultimi due aspetti, la condivisione degli spazi comuni e la vita di relazione nel condominio.
Gli spazi comuni rappresentano un elemento che accomuna uomini e animali.
Gli uomini condividono con gli animali un bisogno fondamentale: il possesso del territorio, e su di esso manifestano diritti.
Ebbene, in condominio, questi presunti diritti si impongono in modo manifesto e determinato: fioriere e piante disseminati sulle rampe scale, carrozzine e biciclette depositate in pianta stabile nell’atrio portone o nel sottoscala, auto parcheggiate dappertutto e soprattutto sulle strade di transito in barba all’assoluto e tassativo divieto di sosta oppure a ridosso dei portoni d’ingresso. E elenco dell’occupazione degli spazi comuni potrebbe continuare a lungo.
Queste violazioni sono l’equivalente umano della marcatura del territorio che per gli animali è un fatto esistenziale, mentre per l’uomo sottende a questa considerazione: se lo spazio non è di nessuno, allora è mio! Provocazione questa che si scontra con il principio giuridico della proprietà in comunione, e scatena proprio quelle reazioni che spesso finiscono nelle aule dei tribunali.
Se invece guardiamo ai rapporti umani, non possiamo ignorare una diffusa patologia, l’isolamento sociale, che trasforma la relazione umana in consumistica, cioè le persone si utilizzano reciprocamente là dove invece dovrebbe instaurarsi un rapporto di stima, di amicizia, di affetto: vale infatti la regola che induce a considerare una persona più «per quello che ha», piuttosto che «per quello che è», l’altro è solo un oggetto di consumo, non suscita alcuna emozione.
Di fronte agli altri poi, l’individuo sviluppa un atteggiamento che solo all’apparenza ha il carattere della riservatezza, del riserbo, della discrezione, mentre invece è una difesa dall’incertezza e dai pericoli della nostra quotidianità; il risultato è, come detto, l’isolamento sociale, che fa sì che spesso non si conoscano neppure superficialmente, ad esempio, quelli che sono i nostri vicini. Capita più spesso di quanto si pensi, che un cliente ci chieda: ma chi abita nell’appartamento a fianco al mio?
E l’aspetto più evidente di questo riserbo esteriore non è solo l’indifferenza, è assai spesso anche ostilità e avversione.
Perché l’intera rete delle relazioni umane riposa su una gerarchia estremamente varia di simpatie, indifferenze e antipatie, dalla più lieve e passeggera alla più resistente.
Lo studio di questi comportamenti è materia dell’antropologia, della psicologia sociale e della sociologia ma noi amministratori di questi rancori, di queste inquietudini siamo testimoni ed anche attori, ogni nostro contatto con la clientela ne è pervaso.
E visto che le cose stanno così, potremmo far finta di niente e dare per scontato che i nostri clienti continueranno a maltrattarci ed a maltrattarsi.
Potremo continuare le nostre battaglie con l’amico dell’amico che pensa di saperne più di noi, con quello che ci smentisce pubblicamente, di solito durante l’assemblea di condominio, solo perché tenendo in mano una copia del Codice Civile o è connesso con lo smartphone ad internet, si sente un esperto di diritto.
Ma è chiaro che in queste condizioni, anche noi diventiamo aggressivi, scendiamo nella plaza de torose diventiamo il matadoro il toro, a seconda delle circostanze.
Ed ecco che ritorna …«l’aiuola che ci fa tanto feroci…».
Ma tutto ciò deve invece far riflettere.
Trent’anni fa eravamo praticamente solo dei contabili, oggi, con il progresso tecnologico, questo è un aspetto importante ma non più prevalente.
Oggi la nostra attività appartiene al mondo dei servizi, nel quale il rapporto interpersonale con il cliente è centrale, essenziale, e la conferma la riscontriamo sul campo, nella nostra quotidianità, dove la richiesta di attenzione, di ascolto, da parte dei nostri clienti è pressante.
Mi raccontava qualche tempo fa un collega di Bergamo che una sua anziana cliente lo aveva chiamato al telefonino di sabato sera per informarlo di aver trovato un topo in cucina: lei era riuscita a chiudere la porta, bloccando l’intruso, e ora chiedeva all’amministratore [e non ai vigili del fuoco, o che ne so, alla polizia] cosa dovesse fare.
Lasciando da parte l’aspetto tragicomico di questo episodio, ci dobbiamo chiedere: perché mai una persona sola, terrorizzata, di sabato sera, telefona all’amministratore, sapendo a priori di non poter ricevere alcun aiuto concreto, piuttosto che ai vigili del fuoco, che di sicuro sapranno fare qualcosa?
Perché l’amministratore c’è, è visibile, è disponibile, è una figura alla quale si può fare riferimento.
Ed il riconoscimento dell’importanza del nostro ruolo da parte del cliente, comporta una grande responsabilità ed al tempo stesso anche un’opportunità da cogliere.
Vedete, in queste occasioni, dove amministratori e condomini si confrontano, si tende a sottovalutare il lavoro dell’amministratore, visto dai clienti quasi sempre come il male necessario da subire e mai come una possibile vittima delle circostanze in cui opera.
Il lavoro dell’amministratore professionale è un lavoro duro, difficile, stressante. L’amministratore, a differenza di altre figure professionali, non ha tutele, è solo, con i propri dubbi, con le proprie incertezze, con i propri limiti.
Deve garantire sempre e comunque un servizio che il più delle volte fornisce indirettamente, tramite terzi, fornitori, artigiani, consulenti. Ed è questa la difficoltà maggiore, la nota dolente. E le risposte che l’amministratore deve dare comunque devono essere sempre efficaci, efficienti e risolutive.
E, si badi bene, deve farlo spendendo il meno possibile!
È sacrosanto che l’unità di misura più importante nel mondo del condominio siano i costi, ma non è sempre il modo corretto di valutare le necessità.
Quando i clienti devono scegliere l’amministratore, si affidano al migliore offerente, a quello che costa meno, e non al meglio organizzato. Anche se, per fortuna, questa tendenza sta lentamente cambiando, nella maggioranza dei casi, questo è e rimane il criterio di scelta più diffuso: la nostra è l’unica categoria nella quale i più bravi sono quelli che costano di meno.
E queste scelte non premiano quegli amministratori che sacrificano tempo e risorse per aggiornarsi, per migliorare la loro organizzazione, per offrire professionalità al posto dell’improvvisazione, per distinguersi da quanti sfruttando l’assenza di vincoli, obblighi e garanzie da dare per l’esercizio dell’attività, si propongono sul mercato con il solo obiettivo di fare i soldi, presto e senza troppi affanni.
Per carità, non voglio nascondermi dietro ad un dito e guai a giustificare gli avventurieri incapaci e disonesti, di cui le cronache si occupano molto spesso: ci sono, e purtroppo ci saranno sempre, comportamenti scorretti, così come avviene in tutte le categorie professionali, ma queste anomalie vanno perseguite e punite severamente.
Questi eventi però sono un fenomeno limitato se rapportato agli enormi interessi economici che gravitano attorno al sistema condominio.
I servizi nei condominii in Italia movimentano ogni anno qualcosa come un punto e mezzo del PIL e dei quasi 900.000 edifici in condominio, un terzo sono gestiti da 8.600 amministratori immobiliari professionali, in gran parte iscritti ad associazioni di categoria, amministratori che hanno come obiettivo quello di offrire un servizio garantito e di qualità.
I restanti due terzi degli edifici in condominio, sono in parte gestiti da professionisti che si occupano anche di gestione immobiliare, come attività secondaria, oppure si autogestiscono.
Ebbene, sono grandi numeri e possiamo dire che nonostante tutto, pur nelle mille incertezze ed approssimazioni, il sistema condominio funziona, grazie alla professionalità e allo spirito di sacrificio di quegli operatori che credono nel loro lavoro.
Che la gente sia arrabbiata, scontenta, insoddisfatta, è un dato di fatto. I motivi sono tanti, e non ci vuole molto per capire le cause di questi timori: basta leggere i giornali e guardare la televisione.
Il solo abitare, il vivere in condominio assieme ad altre persone, condividerne gli spazi, contribuisce al malessere, e allora anche noi amministratori, nel nostro piccolo e con tutti i nostri limiti, potremmo dare un contributo per migliorare la qualità della vita dei nostri clienti, diventare «venditori di pace», cercando di soddisfare i loro bisogni nell’interesse reciproco.
Ma anche i nostri clienti, quando devono scegliere un amministratore, dovrebbero affidarsi a chi esercita l’attività a tempo pieno, ha uno studio organizzato, garantisce il proprio lavoro e anche i loro soldi: in altre parole, dovrebbero affidarsi ad amministratori professionali e non al migliore offerente, solo perché costa meno.
Così facendo, diventeremo tutti migliori, amministratori e condomini.
Giuseppe Rigotti